MASSIMO BRAY: #laculturachevince non è un'utopia
E basterebbe questo, secondo l'ex ministro Massimo Bray, per costringere lo Stato a prendersi cura di Villa Falconieri e di tutti quei siti che si trovano vessati dal tempo, degradati e abbandonati.
Durante il suo intervento di ieri (venerdì) presso l'auditorium della Libreria Cavour di Frascati, Massimo Bray ha parlato di questo e di altro, sempre con la sua consueta professionalità mista ad un coinvolgente entusiasmo verso quei piccoli comitati locali che s'impegnano sul territorio per la valorizzazione del patrimonio culturale e artistico.
“Le risorse ci sono – dice Bray – ma sono indirizzate verso altre scelte. Il bilancio del Ministero è di circa 1,3 miliardi di euro; tutto lo scandalo del Mose è costato allo Stato circa 2 miliardi”. Dati, numeri, cifre, che riflettono in maniera semplice quello che è il pensiero dominante nel nostro Paese, ovvero che la Cultura sia inutile, che il patrimonio artistico sia privo di valore. Eppure i beni culturali sono “il luogo in cui si riconosce una comunità” e perciò vanno “tutelati e al tempo stesso valorizzati”. Ma se lo Stato non si muove allora ben vengano i privati, purché il patrimonio resti sempre ai cittadini. Non privatizzazione, ma collaborazione.
Concetti chiari, semplici eppure forti e mai banali. Bray è un fiume in piena che travolge tutto ciò che tocca.
E allora abbatte i luoghi comuni (“odio l'espressione la cultura è il petrolio del Paese, è orrenda. Ricondurre i beni culturali in un meccanismo di profitto è sbagliato e non serve a nulla”) e i pregiudizi (“non è vero che non si possono fare le cose, basta avere una forte volontà. Quando iniziai ad occuparmi della Reggia di Carditello mi dissero che ci sarebbero voluti 10 anni. Dopo tre mesi avevamo già i finanziamenti europei”). Critica le scelte politiche degli ultimi anni ma senza limitarsi alla sterile polemica decostruttiva, ma proponendo soluzioni alternative, dando consigli al Comitato per Villa Falconieri e ai presenti tutti su come aiutare lo Stato a preservare il patrimonio culturale e a restituirlo alla cittadinanza sotto una nuova veste.
Per rendere di nuovo fruibile al pubblico Villa Falconieri le associazioni devono muoversi al di fuori dei percorsi tradizionali. “Bisogna avere un'idea di utilizzo”, un progetto per la nuova destinazione d'uso della Villa in modo da presentarsi al Ministero con una documentazione completa e precisa. Creare una Fondazione di Partecipazione e invitare gli enti locali a prendervi parte, chiedere al Ministero i fondi di garanzia. Scavalcare, dunque, la macchinosa burocrazia statale andando dritti all'obiettivo avendo però ben chiara in mente l'idea di base: tutelare e valorizzare. Ovvero conservare e riutilizzare.
Massimo Bray descrive quello che deve essere lo spirito dell'azione delle associazioni di difesa del patrimonio culturale e traccia una linea da seguire, invocando Catone e la sua concezione del buon cittadino e del buon politico, che devono porre innanzi a loro la res publica senza mirare alla consacrazione personale. Senza voler per forza apparire, senza aver bisogno di pubblicizzarsi. Una vita spesa per l'arte e per la cultura, con umiltà e dedizione. Bray lancia un grido di speranza che non deve cadere nel vuoto.
E dunque che si raccolgano i pezzi, che si vada fino in fondo, senza personalismi, senza protagonismi. Solo con la volontà di rendersi utili e mossi dall'amore per il nostro meraviglioso e vessato Paese.
Durante il suo intervento di ieri (venerdì) presso l'auditorium della Libreria Cavour di Frascati, Massimo Bray ha parlato di questo e di altro, sempre con la sua consueta professionalità mista ad un coinvolgente entusiasmo verso quei piccoli comitati locali che s'impegnano sul territorio per la valorizzazione del patrimonio culturale e artistico.
“Le risorse ci sono – dice Bray – ma sono indirizzate verso altre scelte. Il bilancio del Ministero è di circa 1,3 miliardi di euro; tutto lo scandalo del Mose è costato allo Stato circa 2 miliardi”. Dati, numeri, cifre, che riflettono in maniera semplice quello che è il pensiero dominante nel nostro Paese, ovvero che la Cultura sia inutile, che il patrimonio artistico sia privo di valore. Eppure i beni culturali sono “il luogo in cui si riconosce una comunità” e perciò vanno “tutelati e al tempo stesso valorizzati”. Ma se lo Stato non si muove allora ben vengano i privati, purché il patrimonio resti sempre ai cittadini. Non privatizzazione, ma collaborazione.
Concetti chiari, semplici eppure forti e mai banali. Bray è un fiume in piena che travolge tutto ciò che tocca.
E allora abbatte i luoghi comuni (“odio l'espressione la cultura è il petrolio del Paese, è orrenda. Ricondurre i beni culturali in un meccanismo di profitto è sbagliato e non serve a nulla”) e i pregiudizi (“non è vero che non si possono fare le cose, basta avere una forte volontà. Quando iniziai ad occuparmi della Reggia di Carditello mi dissero che ci sarebbero voluti 10 anni. Dopo tre mesi avevamo già i finanziamenti europei”). Critica le scelte politiche degli ultimi anni ma senza limitarsi alla sterile polemica decostruttiva, ma proponendo soluzioni alternative, dando consigli al Comitato per Villa Falconieri e ai presenti tutti su come aiutare lo Stato a preservare il patrimonio culturale e a restituirlo alla cittadinanza sotto una nuova veste.
Per rendere di nuovo fruibile al pubblico Villa Falconieri le associazioni devono muoversi al di fuori dei percorsi tradizionali. “Bisogna avere un'idea di utilizzo”, un progetto per la nuova destinazione d'uso della Villa in modo da presentarsi al Ministero con una documentazione completa e precisa. Creare una Fondazione di Partecipazione e invitare gli enti locali a prendervi parte, chiedere al Ministero i fondi di garanzia. Scavalcare, dunque, la macchinosa burocrazia statale andando dritti all'obiettivo avendo però ben chiara in mente l'idea di base: tutelare e valorizzare. Ovvero conservare e riutilizzare.
Massimo Bray descrive quello che deve essere lo spirito dell'azione delle associazioni di difesa del patrimonio culturale e traccia una linea da seguire, invocando Catone e la sua concezione del buon cittadino e del buon politico, che devono porre innanzi a loro la res publica senza mirare alla consacrazione personale. Senza voler per forza apparire, senza aver bisogno di pubblicizzarsi. Una vita spesa per l'arte e per la cultura, con umiltà e dedizione. Bray lancia un grido di speranza che non deve cadere nel vuoto.
E dunque che si raccolgano i pezzi, che si vada fino in fondo, senza personalismi, senza protagonismi. Solo con la volontà di rendersi utili e mossi dall'amore per il nostro meraviglioso e vessato Paese.
Umberto Preite Martinez