UTOPIA/UTOPIAE
“D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.”
Italo Calvino
Nasce oggi UTOPICA, un contenitore di idee sulla città e il paesaggio. UTOPICA non è una rivista, né un blog. UTOPICA è un luogo di condivisione. È la volontà di riflettere sui problemi e sulle potenzialità dello spazio circostante, inteso come luogo del vivere sociale. Perché la città altro non è se non il luogo delle relazioni e degli scambi che, materiali o immateriali, modellano lo spazio urbano, esaltandone i vuoti ed eleggendo a punti di riferimento angoli, strade, fontane. Se è vera la considerazione di Lynch, secondo cui “sembra che per ogni città data esista un’immagine pubblica, che è la sovrapposizione di molte immagini individuali. O forse vi è una serie di immagini pubbliche, possedute ciascuna da un certo numero di cittadini”, è allora evidente che lo spazio circostante debba essere immaginato, pensato, modellato in funzione di quella che è l’immagine che più si avvicina al rispondere alle esigenze di chi lo vive. Al tempo stesso, risulta chiaro che essendo molteplici i fruitori di uno stesso luogo, molteplici saranno le esigenze a cui rispondere. Da qui, la necessità di una riflessione che tenda all’astrazione e che prenda le mosse dalla volontà di ipotizzare una realtà diversa, in cui l’ordinario sia solo una tra le tante alternative.
UTOPICA si propone proprio questo: stupire, raccontare, influenzare, suggerire nuovi modi di vivere la città attraverso una progettazione degli spazi astratta e volutamente irriverente, per riflettere sullo spazio urbano attraverso visioni di realtà diverse e per lo più inattuabili.
La fuga in un mondo impossibile, espressione delle molteplici possibilità del reale, ha da sempre caratterizzato il pensiero umano, portando all’affermarsi di vere e proprie società utopiche, mosse dalla necessità di rifuggire condizioni storiche particolarmente gravose, caratterizzate da forti disuguaglianze sociali. L’utopia era infatti il mezzo più immediato per cercare risposte adeguate alla necessità di ordine e benessere che, nel corso dei secoli, si sono susseguite nel sentire del genere umano.
Che sia stato per ipotizzare una vita oltre la morte o per cercare di dare risposte ai problemi concreti della società, l'uomo da sempre ha avuto questa straordinaria esigenza di figurarsi luoghi leggendari e lontani. Si sono così delineati nuovi mondi, legati alla religione o a società mitiche, popoli superiori abitanti luoghi lontanissimi e meravigliosi, dove trovare immense ricchezze. La distanza, l’impossibilità di essere raggiunti, sono infatti caratteristiche fondamentali dei luoghi utopici, spesso rappresentati come isole al centro di sconfinati oceani o posizionati agli estremi del mondo conosciuto: l’impotenza del genere umano di fronte alla consapevolezza di non poter accedere al benessere e alla felicità intesi in senso assoluto. I luoghi dell’utopia diventano così l’oggetto del desiderio e della speranza e, in quanto tali, più reali del reale. Del resto, nel corso dei secoli, molti sono stati i tentativi di ricreare, almeno spazialmente, gli spazi utopici dell’immaginario collettivo. Luoghi che, in pieno contrasto con la realtà, ambiscono alla perfezione assoluta. La necessità di un ordine superiore, la ricerca dell’armonia formale, diventano ad esempio la spinta per il ricorso alle forme geometriche pure del cerchio, del quadrato e del triangolo equilatero, intese come mezzi per rappresentare una realtà che può essere solo descritta o disegnata.
Tutto questo è evidente nel Rinascimento quando, sulle ali delle nuove scoperte nella rappresentazione grafica che fanno capo alla prospettiva, si ipotizzano tracciati urbanistici perfettamente regolari, basati su specifici punti focali, poi riportati, più o meno compiutamente, in numerose città del tempo. E proprio in questo periodo, la perfezione geometrica e il disegno urbano diventano il tramite per esprimere i più alti concetti umanistici, cosicché l’immagine stessa della città diviene utopica espressione di valori come giustizia e senso civico.
La città ideale | Anonimo
Il ricorso alle forme pure per rappresentare realtà lontane ed appartenenti ad un mondo superiore al quale ambire si ritrova secoli dopo, quando, nel ‘700, nel pieno della cultura illuminista, Étienne-Louis Boullée, fra i più noti architetti utopici, confrontandosi con l’idea di un Cenotafio per Newton, sceglie di rappresentare un edificio costituito da un’enorme sfera, in cui collocare una sfera armillare. Le stesse proporzioni colossali, impensabili per il tempo, si ritrovano anche in altri progetti dell’architetto francese, nelle cui opere le esigenze funzionali sembrano non avere alcuna rilevanza, sottoposte a una necessità di rappresentazione simbolica dell’oggetto architettonico. Così come L’Utopia teorizzata da Thomas More era un’isola felice ma inesistente, luogo di una società i cui ideali, concreti e ben definiti, frutto di un’attenta e profonda riflessione, risultavano tuttavia inattuabili, allo stesso modo le architetture di Boullée sono perfette nella forma ma sostanzialmente irrealizzabili. E forse proprio questa dichiarata impossibilità, la candida sfacciataggine con cui ci vengono presentate, sta alla base dell’incredibile successo di queste immagini, punto di riferimento per l’architettura dei secoli a venire, spunto per opere assolutamente concrete e reali.
Progetto di un Cenotafio per Newton | Étienne-Louis Boullée
Questo aspetto teorico della rappresentazione dei progetti architettonici e urbanistici diventa sempre più evidente nel corso della rivoluzione industriale, quando forti riflessioni di carattere sociologico si ritrovano nei disegni di città, dove si ritrova la convinzione per cui la connotazione dello spazio urbano influisce sul benessere della società. Si delinea in tal modo la scienza della sociologia urbana, nella quale la città viene vista come un modello biologico, caratterizzato da meccanismi di competizione, simbiosi e dominanza, al pari degli esseri viventi. Il periodo iniziale di questa nuova fase è facilmente individuabile nel XIX secolo quando personaggi come Owen e Fourier, in risposta ai problemi sociali generati dal nascente sistema capitalistico, teorizzano nuovi sistemi organizzativi per la società civile, da cui deriveranno poi vere e proprie esperienze architettoniche, come i villaggi autosufficienti e il ben noto Falansterio, esempi di urbanistica sociale finalizzata al miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia. Con la seconda rivoluzione industriale, l'esplosione delle avanguardie artistiche, l'affermarsi della produzione in serie e dei nuovi materiali, la concezione utopistica della realtà si ritrova in sempre più numerose esperienze. I disegni diventano sempre più dettagliati, raffiguranti edifici di proporzioni colossali, viabilità sospese, cupole in cui racchiudere interi quartieri. Partendo da Howard passando per Le Corbusier e Frank Lloyd Wright, tutti si prefigurano soluzioni urbanistiche ed architettoniche eccezionali, uniche nelle loro specificità ma accomunate dall'intento di stupire e far riflettere.
Broadacre City | Frank Lloyd Wright
Così nel 1925, in occasione dell’Esposizione Internazionale di arti decorative a Parigi, Le Corbusier presenta quello che è la sua risposta alle nuove esigenze nel vivere dell'uomo moderno applicata al centro storico di Parigi. L'architetto svizzero credeva fortemente in un modo nuovo di vedere la città, in piena contrapposizione con la caotica e malsana città antica oramai inadeguata ai nuovi stili di vita. Nonostante il suo lascito abbia prodotto degli effetti quantomeno discutibili, i cardini della sua teoria erano più che nobili: differenziazione totale fra i percorsi carrabili e pedonali, occupazione di suolo ridotto al minimo attraverso l'utilizzo di edifici alti a più elevata densità ben distanziati tra loro, destinazione a verde della maggior parte degli spazi, zoning funzionale. Il prodotto di queste sue teorie, Le Corbusier lo scaraventa con un gesto eclatante nel pieno centro di Parigi preoccupandosi solo di salvaguardare dagli sventramenti alcuni monumenti e piazze importanti; così facendo pone in contrasto netto le due forme di vivere la città, indignando il pubblico presente ma rendendo ben evidente la maggiore ariosità e praticità della sua soluzione.
Plan Voisin | Le Corbusier
Questa concezione "macchinista" della città era molto diffusa in quegli anni e portava spesso a vere e proprie distopie dove l'alienazione dell'uomo di fronte al dominio della macchina era decisamente evidente. Non è un caso che proprio negli stessi anni, nel 1927 con esattezza, sia stato proiettato il film Metropolis di Fritz Lang, pietra miliare del cinema espressionista e fantascientifico, dove l’idea di città che viene trasmessa è allo stesso tempo futuristica ma alienante, con uno sviluppo prettamente verticale del costruito e l'uomo inteso come particella di un flusso indistinto.
L’influenza del vivere sociale sulle teorie urbanistiche si ritrova anche nel secondo dopoguerra, quando si sviluppa il movimento dell’Architettura Radicale, il quale, attraverso rappresentazioni provocatorie e dichiaratamente utopiche, si propone di porre l’attenzione su tematiche legate al vivere lo spazio urbano, proponendo soluzioni volutamente irrealizzabili. In Italia, questa volontà si ritrova nelle rappresentazioni degli Archizoom Associati e del gruppo Superstudio, promotore di concetti quali il monumento continuo e la supersuperficie. Attraverso lo studio del colore e la tecnica del collage, gli architetti fiorentini propongono ai fruitori delle loro immagini scenari impossibili, in cui il costruito domina imponente lo spazio circostante, irrispettoso del paesaggio così come della città storica. Ma se due enormi muraglioni possono dividere in quarti l’ellisse di Piazza San Pietro e il Colosseo può ripetersi tre volte in senso verticale, cosa accade a chi lo spazio urbano lo vive? Le persone sono chiamate a riflettere sulla città, quando, venendo meno i dogmi della storia e della natura, li si mette di fronte alla possibilità di ripensare totalmente lo spazio circostante. E se poi si scoprisse che quella è realmente la migliore soluzione possibile?
Monumento continuo | Superstudio
Diceva Hans Hollein nel 1968 che “Le definizioni limitate e tradizionali di architettura e dei suoi mezzi hanno oggi perduto in buona parte di validità. Il nostro impegno è rivolto all’ambiente come totalità, e a tutti i mezzi che lo determinano. Alla televisione come al mondo dell’arte, ai mezzi di trasporto come all’abbigliamento, al telefono come all’alloggio. L’ampliamento dell’ambito umano e dei mezzi di determinazione dell’ambiente supera di gran lunga quello del costruito. Oggi praticamente tutto può essere architettura”.
Ripensare lo spazio nella sua totalità, senza preconcetti. È questo che si propone di fare UTOPICA. Riconsiderare i modelli di gestione dello spazio urbano, riflettendo sugli spazi, sull’utilizzo che se ne fa, sulle relazioni fra il costruito e i vuoti urbani. UTOPICA vuole proporre soluzioni dichiaratamente impraticabili perché ritiene che soltanto immaginando nuovi scenari si possa rispondere alle esigenze del vivere la città contemporanea. UTOPICA nasce nel territorio dei Castelli Romani e da qui vuole partire per promuovere il dibattito architettonico e urbanistico, partendo da modelli innovativi di gestione del territorio, che sappiano tener conto della necessità di relazionarsi con Roma e con la sua periferia.